venerdì 25 maggio 2007

The solitude monology

Non so se si può dire così, in inglese. Però quest'epressione fitta (quì sì che c'è la radice inglese) perfettamente con quello che voglio scrivere. Solitude trilogy è una raccolta di tre radio-documentari prodotti da Glenn Gould per la Canadian Broadcasting Corporation. Gould li produsse uno per uno, poi li riunì sotto il titolo Solitude trilogy riflettente il tema del "withdrawal from the world". A questo proposito Gould scriveva: "[They are] as close to an autobiographical statement as [I intend] to get in radio". E vabbé, chissenefrega se in essi usa la tecnica da lui inventata della "contrapuntal radio", in cui due o tre voci parlano simultaneamente. E chissenefrega che se a qualcuno interessano io ce li ho in MP3. (p.s. grazie a wikipedia per le informazioni). Vabbé. Il punto fondamentale è che stasera come al solito sono a casa solo as a dog mentre il mondo si diverte, chi con gli amici, chi con la propria ragazza, chi con magari la ragazza di qualcun'altro, e così via. Che fare per passare la serata senza deprimersi paurosamente? Ascolto Blue Afternoon di Tim e faccio la prima scelta degli iris da comprare quest'anno. Ah sì. E scrivo quest'articolo. E su cosa scrivere? Beh la strada è segnata, Glenn. E anche il sentiero è segnato, il suo rapporto con la solitudine. E anche il mio rapporto con la solitudine. Gould e la solitudine: è un rapporto intimo quello che lega il pianista con l'isolamento. Già dal suo ritiro dalla scena concertistica possiamo capire che preferisce, al contatto diretto col pubblico, quello indiretto, mediato dalla sala di registrazione. Gould ha speso gran parte della sua vita da solo, vivendo nel suo appartamento a New York o nel suo cottage sul lago Simcoe (questo). Comunicava col mondo spesso e volentieri unicamente col telefono: di se stesso diceva "I live by long distance". La long distance call è la chiamata in teleselezione. Sembra che una volta avesse detto che

"Non so dire quale sarebbe la giusta proporzione, ma ho sempre avuto una sorta di intuizione, che per ogni ora passata in compagnia di un altro essere umano si ha bisogno di un numero indeterminato di ore da soli"

Fa bene secondo me stare da soli. Passo tanto tempo da solo, quando riesco, in montagna. Si riesce a pensare e non si subisce l'influenza degli altri. Quando si sta da soli, si è con la persona migliore del mondo: noi stessi. Non ci sono altri, non ci sono giudizi, non c'è la necessita di mettersi la maschera che mettiamo ogni volta che abbiamo un contatto con un altro. Eppure ultimamente stare da solo mi fa paura. Mi mette angoscia, ci sto male da solo. Sento che ho bisogno degli altri, anche solo per dire le cose più stupide che si possano dire. Anche solo per sentire la presenza di un altro. Forse sto cambiando? E verso cosa sto andando?

P.


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