giovedì 26 luglio 2007

Elegia Triestina

Chi, s'io gridassi, mi udrebbe mai dalle sfere
degli angeli? E se pure d'un tratto
uno mi stringesse al suo cuore: perirei della sua
più forte esistenza. Poiché del terribile il bello
non è che il principio, che ancora noi sopportiamo,
e lo ammiriamo così, ché quieto disdegna
di annientarci. Ogni angelo è tremendo.
(da Elegie Duinesi, Elegia I, R. M. Rilke)

Che città splendida, Trieste. Una meraviglia, una gioia per il cuore. Ci sono stato un giorno e mezzo, mi sono innamorato. Dei suoi palazzi chiari. Delle sue vie larghe, ariose, pulite. Dei monti che sono così vicini al mare. Del mare. Della cultura che sai permeare ogni dove. E di Duino. Ci tornerò sicuramente. Voglio tornarci, magari in un giorno di pioggia, e tornare lungo il molo, e stare in mezzo al mare agitato, con la Bora tremenda che fischia nelle orecchie e ti sbatte l'acqua in faccia.


Amanti, a voi, l’uno nell’altro paghi,

chiedo di noi. Voi vi afferrate. Avete le prove?

Vedete, mi accade che le mie mani l'una

dell’altra si accorgano, o che il mio logoro viso

in esse si riposi. Così mi si desta un poco

il sentire. Ma chi, per questo, oserebbe già essere?

Voi invece, che nell'incanto dell'altro

crescete, fin che sovrastato

v'implora: non più...; voi che sotto le carezze

diventate l'un l'altro copiosi come le annate dell'uva,

che talora svanite perché l'altro

del tutto prevale: vi chiedo di noi. Lo so,

così beati voi vi toccate perché la carezza trattiene,

perché non viene meno la parte che teneramente

coprite; perché sotto le mani sentite la pura

durata. Sì che eternità quasi dell'abbraccio

attendete. Eppure, superato dei primi

sguardi il terrore e la nostalgia alla finestra,

i primi passi insieme, una volta attraverso il giardino:

amanti, ancora lo siete?

(da Elegie Duinesi, Elegia II)

E visitare ancora la S.I.S.S.A., senza quel provincialismo schifoso alla Parma, con le sue mille culture (come Trieste!), e i mille studenti di matematica, e il bar che a Parma non c'è, e le lavagne sul terrazzo, che se ti viene un'idea, la puoi scrivere lì, subito. Avere uno studio per te, con la tua scrivania e la sedia con le rotelle, dove studiare. E poi vivere fuori casa, doverti fare da mangiare, lavare i piatti, mettere la roba in lavatrice, stenderla, e fare i festini con le ragazze del piano di sotto, che magari sono inguardabili, però almeno ti svegli un po'. Prendere ogni tanto il tram su rotaia che ti porta su in montagna, che fa tanto vintage, e che al modico prezzo di un euro ti dona un sacco di energia potenziale, non solo la tua, ma se vuoi anche quella della tua bici, con cui girare la provincia quasi senza pedalare, oppure prendere il sentiero che ti porta praticamenta fino alla S.I.S.S.A., e lì, un po' prima, fermarti al laghetto sotto il salice, sperando di vedere il tipo che fa il bagno nella lidga, come si dice qui, nella fanghiglia, tipo un indù nel Gange. O l'anatra nera che ti gironzola intorno mentre parli di quanto fanno schifo le persone, che Trieste o Parma alla fine sono tutte uguali.


[...] Stelle,
non discende da voi all'amante la voglia del viso
di quell'amata? E l'intima vista del puro volto di lei
a lui non discende dalla costellazione pura?

Non tu, ahi, non sua madre
tanto a lui ha inarcato le ciglia in attesa.
Non tu che lo senti, fanciulla, non tu
curvasti il suo labbro in più feconda espressione.
Pensi davvero che la tua lieve comparsa
tanto lo scuota, vaga tu come il soffio dell'alba?
Spauristi certo il suo cuore; ma più antichi terrori
s'inabissarono in lui, all'urto con cui l'hai toccato.
Chiamalo... non del tutto lo chiami dalle oscure presenze.
Certo ora egli vuole, sorge, alleviato, s'abitua
all'intimità del tuo cuore, prende e s'inizia.
Ma si è mai iniziato?
(da Elegie Duinesi, Elegia III)

E sfidare una giornata che minaccia pioggia per andare a Duino, volere andarci, a tutti i costi, a Duino. Quanto e cosa significa Rilke per me... E farsi un'ora di autobus per arrivare in quel paesino, e il castello chiude proprio di martedì, sfiga. Anche per telefonare in una viuzza desolata per disdire un appuntamento preso per il pomeriggio e dimenticato, raccontando che stai poco bene di stomaco.


Angelo! Se ci fosse un luogo che noi non sappiamo, e là,
su un tappeto indicibile, mostrassero gli amanti, che
qui alla riuscita mai non giungono, le alte
figure loro ardite dallo slancio del cuore,
del desiderio le torri, le scale loro,
poggianti già da tempo, dove mai non vi fu suolo,
l'una all'altra soltanto, tremanti, - e lo potessero
dinanzi ai loro spettatori, i morti silenziosi e senza numero.
Non getterebbero questi le monete allora, le ultime,
che noi non conosciamo, risparmiate e nascoste,
i ducati del felice vivere, di valore eterno, alla coppia
che sorride infine di un sorriso vero sul tappeto
placato?
(da Elegie Duinesi, Elegia V)

E imboccare il sentiero Rilke, tutto è Rilke a Duino il campeggio il bar il cesso Rilke, marchio registrato TM. Però la vista è favolosa, magari non dai belvedere da fidanzatini, meglio dai sassi a picco sul mare. Fare foto stupide che non le posto, pose idiote di meditazione sul mare. E magari in una out of cinquanta vieni anche bene e sembri figo davvero. Un po' poeta maledetto, con la maglietta rosso fuoco da scaricamento. E poi la scaletta che ti porta giù, e il tunnel scavato nella roccia, e il terrazzo a picco sul mare. L'unica cosa che mancava, una ragazza e un bacio.


E quando è costernato chi è costretto a volare
e proviene da un grembo. Quasi di sé
atterrito, guizza per l'aria come un'incrinatura
che traversa una tazza. Così la scia del pipistrello
la porcellana della sera incrina.

E noi: sempre, ovunque spettatori,
rivolti a tutto questo e fuori mai!
In noi trabocca. Lo ordiniamo. Si disgrega.
Torniamo ad ordinarlo e siamo noi dissolti.

Chi ci ha dunque voltati che,
in qualsivoglia cosa intenti, disposti siamo
come uno che parte? Come quello, sull'ultima
collina che gli mostra per una volta ancora
tutta la valle, s'arresta, si volta indietri, indugia -,
così viviamo, in un continuo prendere congedo.
(da Elegie Duinesi, Elegia VIII)

E poi tornare a Trieste, pizza che siamo in ritardo, buttare il pattume e volare a prendere il treno. E un caldo e un sonno da crepare, nonostante la moka da 4 in due. E la coppia di tedeschi o olandesi che non riesco a smettere di guardare. Scendere a Venezia, prendere i francobolli per le cartoline e imbucarle, aspettare il treno in ritardo, sperando di non perdere la coincidenza, e ascoltare uno che impreca perché anche lui avrà una coincidenza. E ricordarsi, il giorno prima, in quella stazione, i tre pazzi che si siedono di fronte a te in treno e non finiscono più di parlare e farti domande, che sei un ragazzo simpatico, che dovresti arruolarti in marina (staresti bene con la divisa, sai?), che davvero le donne emiliane sono affettuose ma ti saltano addosso (...), ti tirano due schiaffi e via, tipo la Ventura Raffaella Carrà e la Falchi, che siete voi legati alla tradizione, cioè state tutti insieme a Pasqua e Natale, che credi che ci sia qualcosa che ha creato tutto questo, che noi passiamo spesso a Reggio e se ci dici un bar in cui vai spesso magari ci passiamo e ci ritroviamo, che magari vuoi il nostro numero di cellulare, che facciamo una foto di ricordo, dài saluta con la mano. E poi, scesi, quella bellissima ragazza altissima che mi si siede di fronte, con la gonna bianca, le mutande gialle e il cellulare vecchissimo, che scende solo dopo una fermata. E quell'altra ragazza, con gli occhi stupendi, sempre coperti dagli occhiali da sole, li ho visti solo una volta, una sola, che studia qualcosa di economia e mi dice grazie quando sposto le gambe per farla scendere. E finalmente ritornare nel caro piattume padano, e tornare a casa, con un ricordo, due giorni nel cuore.

Ma se si risvegliassero, i morti senza fine, una metafora in
noi,
vedi, indicherebbero forse gli amenti delle spoglie
avellane, penduli, oppure
la pioggia, che sulla scura terra cade a primavera.

E noi che la felicità la pensiamo
in ascesa sentiremmo la commozione,
che quasi ci atterra sgomenti,
per una cosa felice che cade.
(da Elegie Duinesi, Elegia X)

P.


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