giovedì 12 luglio 2007

Le variazioni Gouldberg

Sì, non voglio parlare delle Variazioni Goldberg, dell' Aria con diverse variazioni per clavicembalo a due manuali. Voglio parlare delle Variazioni Goldberg nell'interpretazione di Glenn Gould. Le varizioni Gouldberg, come le ha soprannominate un critico americano di cui non mi sovvien il nome. Quelle che bene o male ho ascoltato 1000 volte ma non mi stanco mai. Quelle che vanno sempre bene qualsiasi sia il tuo stato d'animo. Quello che se potessi salvare 5 dischi tra tutta la musica ci sarebbero d'obbligo. Quello che è forse il più bel disco mai inciso. Però un intro all'opera è d'obbligo. Le Goldberg (attenzione, Goldberg!) consistono in un aria di 32 battute, una sarabanda, in Sol maggiore, seguita da 30 variazioni, basate sulla linea di basso dell'aria, e di nuovo dall'aria. Non vi sto a spiegare il significato di variazione, sarabanda e altre amenità tecniche. Non vi sto neanche a spiegare l'incredibile quantità di matematica, intesa nel suo senso più puro, come combinazioni e ripetizioni regolari di numeri, che c'è alla base di questa immensa costruzione architettonica (qualche esempio? 32 battute l'aria divisa in 2 gruppi da 16 ciascuno, 32 i pezzi in totale (30 variazioni + 2 volte l'aria), suddivisi idealmente in 2 gruppi da 16, all'inizio del secondo dei quali Bach inserisce l'ouverture, proprio a suggellare un nuovo inizio. E poi i canoni, che iniziano da quello all'unisono e terminano con quello alla nona, che sono posti in corrispondenza delle variazioni il cui numero è divisibile per 3). Leggenda (a cui credono in pochi, però!) vuole che siano state commissionate al sommo, J. S. Bach, dal conte von Keyserlingk affinché il suo protetto, il giovane clavicembalista Johann Goldberg, gliele potesse suonare per alleviare la noia delle ore notturne, passate sveglio a causa della sua insonnia. Un po' eccessivo forse poter pensare che un'opera somma e complessa come le Goldberg possa essere nata come riempitivo delle ore insonni di un nobilotto... Ma veniamo a noi: messo sotto contratto dal direttore della Columbia, Oppenheim, quasi alla cieca, dopo averlo sentito suonare solo una volta, Gould si impose nella scelta del primo disco da registrare per l'etichetta: le variazioni Goldberg. E fu una scelta, almeno all'apparenza, completamente anticommerciale: sia per l'autore, Bach, che all'epoca aveva una ben scarsa reputazione (dice Gould: Nei tempi in cui studiavo, la maggior parte dei pianisti evitava tutte le opere più importanti di Bach come si trattasse della peste, e ancora Nonostante tutto, [i pianisti] si sentivano in un certo qual modo in dovere di cominciare un recital con un pezzo di Bach - era come un rito di iniziazione che consentiva l'ingresso alle opere veramente serie, ai Nocturnes di Chopin, ai Preludes di Debussy o eventualmente alle sonate di Beethoven), sia per il pezzo, proprio uno dei meno eseguiti in quanto considerato solamente un esercizio meccanico (anche se nelle Goldberg c'è più musica che in tutta la creazione di un Saint-Saens o di un Busoni, n.d.B.M.). Ma Gould ebbe ragione: la sua incredibile interpretazione del 1955 divenne ben presto un must, divenendo un lp presente sugli scaffali di una gran parte degli appassionati di musica, magari a fianco di Kind of Blue di Miles Davis, o qualcosa di John Coltrane. E questo perché il Bach di Gould era rivoluzionario, inaudito, swing, anche sexy. E magari anche perché Gould era una personalità originale, con le sue manìe, i suoi capelli alla Beatle ante litteram e la sua aria trasognata da poeta romantico. Ma soprattutto perché l'interpretazione di Gould era incredibilmente moderna: nonostante il grandissimo successo che riscosse a tutti i livelli, dalla critica (Era come se qualcuno avesse improvvisamente spalancato la finestra in una stanza che non era stata arieggiata da cento e più anni, lasciando che vi entrasse l'aria fresca del mattino, scriverà il critico Michael Stigemann) al pubblico musicofilo, fino a quello profano, l'interpretazione è di una modernità incredibile, pazzesca; possiamo dire che è moderna anche ai giorni nostri. Non solo per la velocità, per i ritornelli evitati (diventano una palla le Goldberg con tutti i ritornelli... n.d.B.M), per il tocco teso a ricreare, attraverso lo staccato, la sonorità cembalistica, per l'assenza di pedale e di macro-dinamica, ma anche (e soprattutto) per la coerenza, l'unitarietà dell'interpretazione, tratto che ritroveremo fondamentale nella versione dell'81. E per renderci conto di tale modernità è sufficiente che guardiamo la (mal)fama del pianista Canadese negli ambienti accademici dei conservatori, o il numero di emuli che sono apparsi e continuano ad apparire ancora dopo mezzo secolo. Dopo quest'incisione Gould cresce, incide altri dischi, altre Goldberg (segnatevi luogo, data ed estremi del cd per un'altra interpretazione fantastica: Salisburgo, 1959, SMK 52685), altra musica. Poi, intorno ai 50 anni, decide di tornare all'ovile, da dove aveva iniziato. E, a parte un paio di dischi, uno con musiche di Wagner e uno con le ballate di Brahms, qui finisce. Gould muore solo un anno dopo averle incise, nello stesso mese, pochi giorni prima, che vengano pubblicate. Le due incisioni sono l'alfa e l'omega della vita musicale di Gould; c'è una vita di musica tra le prime e le ultime Goldberg. Una vita di riflessione, una vita passata al pianoforte, una vita di Bach. E le differenze tra i due dischi ne è una testimonianza inequivocabile. Potrebbero essere due pianisti diversi che suonano, non uno solo. La scoperta dell'importanza del silenzio, della lentezza, ad esempio, nell'ultima incisione: Mi piacerebbe credere che in quello che faccio - (e in quello che ho fatto) soprattutto negli ultimi anni - vi sia una specie di quiete autunnale. Lentezza che equivale a serenità, quella serenità che (fortuna sua!) Gould ha trovato in tutte le ore passate al pianoforte; serenità che è forse l'abito che più si addice alle Goldberg, ancora più dell'abito giovanile, un po' scapestrato. La magia di Gould è quella di far convivere i due aspetti dell'opera: ogni variazione è un capolavoro in sé, a prescindere dal fatto che sia una variazione dell'aria. Ma ogni variazione fa anche parte di un affresco grandioso. E Gould non sacrifica la visione globale a quella del particolare, alla Fiamminga, né sacrifica nessuna di queste miniature a discapito dell' unitarietà globale. Se nel '55 Gould dà l'impressione di unitarietà, come avevamo già detto, anche grazie all'aiuto della velocità, come fa qui? Non lo so. E' incredibile come ad esempio riesca a rendere l'aria iniziale, nonostante il pianoforte non sia uno strumento adatto a sostenere il suono, un canto infinito. E' inumana la sua capacità nel collegare un suono al successivo, ma anche nel collegare una variazione alla successiva (esempi? 6-7, 18-19, 20-21-22-23, 26-27-28-29-30-aria da capo, quest'ultimo passaggio al di fuori dell'umano lodabile). E' questa la cosa più bella dell'incisione dell' '81: l'idea di percorso, di viaggio, seguito dal ritorno all'origine. Come nel percorso musicale di Gould. Seguitemi per un attimo. Aria, nota finale: appoggiatura fa# poi sol. E' il dubbio, è l'incertezza, è la tensione data dalla dissonanza. Variazione 1: il ritmo riparte, è una danza, inizia la vita. E così via. Variazioni 2,3,4... E in mezzo c'è di tutto. C'è la fughetta, ci sono i canoni, ci sono le variazioni in minore, quelle lente, quelle gioiose, quelle virtuosistiche, quelle espressive. Variazioni 27,28,29,30. Qui il crescendo finale. Crescendo ideale, ma anche musicale. Il numero di note aumenta, anche il volume sonoro. Con le ultime quattro variazioni c'è un addensamento progressivo, sia sonoro che emotivo. A cosa ci porteranno? All'aria, di nuovo. A ciò da cui tutto è iniziato. Ma non è la stessa aria. E' trasfigurata, in mezzo c'è stata la vita, tutta la musica di una vita. Anche noi percepiamo che non è la stessa aria che apre l'opera. E il segno più evidente è l'assenza dell'appoggiatura sull'ultima nota: stavolta è un Sol affermativo, limpido, tranquillo. Non c'è più il dubbio, l'incertezza. Tutto è così chiaro. Dominante-tonica, quinto-primo, Re maggiore-Sol maggiore. E' dannatamente difficile descriverlo. Dovete sentirlo, con le orecchie ma anche con la testa. Un po' di tempo fa vedevo nelle Goldberg un'opera ciclica. Aria-variazioni-aria, e via da capo in un giro senza fine. Ma ora non penso più siano ciò. Perché l'aria da capo non è l'aria, perché in mezzo è successo qualcosa. E' l'aria che ha visto la variazione, il cambiamento, è l'aria che ha vissuto. E' l'aria che, vivendo, come Gould, finalmente ha trovato la serenità.

P.

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